La nuova sede della Biblioteca Nazionale

Le informazioni sulla storia della Biblioteca sono tratte dal volume:
1861/2011: l’Italia unita e la sua Biblioteca, Firenze, Polistampa, 2011 (Catalogo della Mostra tenuta a Firenze nel 2011-2012)

I progetti, il concorso, la scelta del luogo, gli spazi

Lo stato e l’ordinamento della Nazionale fiorentina, già alla fine dell’800, era considerato precario. La divisione in più edifici della biblioteca, infatti, non permetteva un regolare e pronto servizio e neppure una disposizione conveniente, sia delle suppellettili che dei libri, il cui numero si accresceva di giorno in giorno.

Il grande merito di trovare soluzioni ai problemi della biblioteca, va a Desiderio Chilovi, grande bibliotecario, direttore dal 1885, che conosceva le reali necessità delle biblioteche italiane e si adoperò, anche con studi ed ipotesi personali, moderne e organizzate, al fine di arrivare ad ottenere una fabbrica ex novo in quel Centro di Firenze, che nell’ambito del piano di risanamento della città si apprestava ad essere “…a vita nuova restituito.”.

Le diverse proposte delle autorità comunali sulla scelta dell’area dove sarebbe sorta la nuova biblioteca che si succedevano nel mutevole contesto dei grandi lavori cittadini di fine secolo, veniva sempre prontamente valutata dal bibliotecario con propri disegni e piante, ma qualsiasi idea presto risultava impraticabile, sia per le difficoltà burocratico-amministrative, sia per la reale adattabilità degli spazi. Nel 1900, dopo 15 anni di sterili tentativi, l’autorità governativa centrale e le autorità municipali si accordano per un’altra e finalmente definitiva collocazione nell’area compresa tra Corso dei Tintori e il secondo Chiostro della basilica di Santa Croce annesso al relativo convento. La convenzione stipulata, tra il Comune, il Governo, e la Cassa di Risparmio di Firenze, permette lo stanziamento della spesa necessaria alla realizzazione dell’opera, anticipata dalla Cassa centrale di Risparmi e Depositi con un prestito agevolato di £ 2.900.000 compresi gli espropri; di questa cifra, il contributo del Comune è fissato in £ 300.000 con la donazione anche di parte dell’area.

Il 31 dicembre 1902 viene pubblicato il bando per il concorso. La Commissione giudicatrice nominata il 29 settembre del 1903, è composta dal Presidente Camillo Boito, Gaetano Koch e Ernesto Basile nominati dal governo, Riccardo Mazzanti per il Comune, gli esperti delle questioni bibliotecarie Giuseppe Salvo, direttore della Biblioteca di Palermo, e Desiderio Chilovi, sostituito alla sua morte, avvenuta il 7 giugno del 1905, da Salomone Morpurgo, e Tito Azzolini eletto dai concorrenti.

I quaranta architetti partecipanti al primo grado del concorso, e i 12 prescelti (Bazzani, Piacentini, “Delfo”, Sabatini, “Sidera”, Fantappiè, Bovio, Rivas, “Nemo”, “Aemilia”, Garroni e Fondelli) per il secondo grado di giudizio, che si svolse tra il 1904 e il 1906, vedono infine vincitore il giovane architetto e ingegnere romano Cesare Bazzani (DBI, v.7); (CESARE BAZZANI 2001).

Il grande impegno dei concorrenti non era stato tanto quello di trovare soluzioni adattabili alle preesistenze storiche, visto che, comunque, a detta di qualcuno “…risolvere il problema di innalzare un edificio per i libri nello spazio che ricinge il secondo chiostro di Santa Croce, è press’a poco la stessa cosa che trovare la quadratura del circolo.” ma “…quello di trovare la linea architettonica per la quale la fabbrica grandiosa si innestasse degnamente a quel gioiello dell’arte quattrocentesca, che è il chiostro quadrato di Santa Croce;…” ricollegandosi poi con il fianco verso “…la futura via Magliabechi, al chiostro maggiore, e al lato meridionale della chiesa.”(GIUBILEO 1911).

Dal punto di vista architettonico le risposte erano molto varie, alcune con richiami al XV secolo, altre con richiami a tempi moderni nel tentativo di combinare vecchi e nuovi linguaggi. Tra le soluzioni proposte, il progetto Piacentini era caratterizzato dal triplo ingresso dalla piazza dei Cavalleggeri, improntato ad uno stile basato sul fiorentino del XIV e XV secolo e interpretato modernamente con personali criteri. L’architetto propendeva per una Biblioteca che, dall’alto della sua aulica architettura, potesse essere più appropriata per studiosi di ricerche di alto contenuto scientifico.

L’ingegner Francesco Paolo Rivas, proponeva invece un corpo di fabbrica organizzato con la facciata lungo corso dei Tintori, che cercava di manifestare anche all’esterno la sua funzione, e dal quale doveva avvenire l’accesso, con una pianta il più possibile regolare, con un prospetto ricco di opulente decorazioni, stemmi di città posti su tutti gli ordini delle finestre e ancora, tra i vani delle stesse, le statue dei grandi fiorentini.
L’architetto Enrico Dante Fantappiè, nel suo progetto si ispirava ai palazzi fiorentini quattrocenteschi. L’edificio su due piani con un piano terra rialzato, con grandi finestrature, aveva la facciata principale su Corso dei Tintori, divisa tra un corpo centrale che si estendeva verso la Piazza dei Cavalleggeri, e due padiglioni retrostanti laterali, con fregi, decorazioni composte da medaglioni a basso rilievo in ceramica imitazione Della Robbia, e stemmi delle principali città italiane. La facciata secondaria invece si sviluppava sulla nuova via Magliabechi, con le stesse linee architettoniche della principale, ma priva di decorazioni.
Il progetto contrassegnato dal motto “Sidera”, prevedeva un edificio articolato su quattro piani con la facciata principale su Corso dei Tintori, simmetrica rispetto all’asse della Piazza dei Cavalleggeri, sulla quale si apre l’ampio accesso. L’autore, affermava di essersi ispirato “alle tradizioni liberamente intese dell’arte fiorentina del periodo più caratteristico”(EDIFICIO 1986) .

L’architetto Ezio Garroni predisponeva un progetto costituito da grandi masse articolate in rientranze e avancorpi, con grandi quantità di finestre, e con decorazioni limitate solo alla parte centrale ove si apre l’ingresso in asse dell’antistante Piazza Cavalleggeri.
La soluzione progettuale dell’edificio Bazzani, ampiamente illustrata e lodata dall’allora direttore, Salomone Morpurgo, nel suo discorso tenuto in occasione della posa della prima pietra, l’8 maggio 1911, imponeva che l’asse principale della nuova costruzione attraversasse il “solenne vestibolo, o sala di distribuzione”, e che corrispondesse al centro della Piazza dei Cavalleggeri, spazio ove si sarebbe dovuto affacciare il porticato d’ingresso, che dà accesso all’atrio e poi a tutti i servizi della Biblioteca. “Il criterio fondamentale della costruzione e della distribuzione interna” dice ancora il Morpurgo nel suo discorso “è stato di collocare nel piano terreno, ma fortemente rialzato, dell’avancorpo tutti gli organi inservienti all’uso pubblico dell’istituto ed ai servizi quotidiani di esso” (GIUBILEO 1911).

Già da queste prime battute risultano evidenti gli intendimenti del Bazzani, ma nel proseguo l’accento veniva posto anche sugli ambienti deputati alle funzioni rappresentative della biblioteca e cioè, i “Musei bibliografici” ed i “Locali rappresentativi”, ai quali si sarebbe potuto accedere “per i due scaloni ai fianchi del primo vestibolo”, ma principalmente “da Via Magliabechi, girata la monumentale rotonda in cui si accoglierà, con le tribune dantesca e galileiana, un’ampia sala per adunanze e conferenze. Da qui con maggiore grandiosità di aditi e di scale, i visitatori saliranno alle dette tribune, alle sale di esposizione dei più insigni cimeli: manoscritti miniati, autografi, incunaboli, edizioni rare, stampe, ecc…”.
Il progetto Bazzani, lega quindi inequivocabilmente spazi e funzioni con soluzioni innovative dal punto di vista impiantistico e tecnologico. Questo sodalizio tra spazi e funzioni vedrà purtroppo una repentina interruzione dopo l’alluvione del 1966 che devasta l’edificio. A seguito del divieto ministeriale di occupare sottosuoli con le collezioni librarie, per esempio, la Sala di lettura viene trasformata in magazzino per le collezioni dei giornali, fino a che, nel 1990, il trasferimento al Forte di Belvedere dell’Emeroteca, permetterà alla direzione riaprire la monumentale Sala di lettura, e di riorganizzare negli spazi preposti molte delle funzioni negli intendimenti del progettista.
Gli spazi deputati alle funzioni rappresentative hanno invece mantenuto invariate negli anni la loro fisionomia e la loro destinazione. Infatti, anche se la Tribuna galileiana non ha mai accolto gli autografi di Galileo Galilei e della sua scuola, la Tribuna dantesca e le altre sale del primo piano hanno adempiuto egregiamente al loro compito di “Musei bibliografici” e di luoghi deputati ad adunanze e conferenze.
A testimonianza della funzionalità degli spazi espositivi, la mostra allestita nell’ambito del ciclo espositivo dedicato a Lorenzo il Magnifico (LORENZO DOPO LORENZO 1992) che, prevedendo l’accesso dall’ingresso di Via Magliabechi e articolando il percorso espositivo dallo scalone verso la galleria d’onore e da questa verso la tribuna Dantesca, permette una fruizione della Mostra integrata ma autonoma al tempo stesso rispetto alla vita quotidiana dell’Istituto.
L’ipotesi di tornare ad utilizzare appieno questa ala dell’edifico per funzioni espositive e di rappresentanza, non è stata sottovalutata dall’attuale Direzione della Biblioteca, che in questa ultima parte dell’anno 2011, ha potuto recuperare, come fu fatto con i già citati restauri del 1990, quei luoghi, in linea con gli originari intendimenti dell’architetto Bazzani.

Bibliografia:
  • Cesare Bazzani 1988
    Cesare Bazzani: un accademico d’Italia, a cura di Michele Giorgini, Valter Tocchi, Perugia,Electa,
    1988.
  • Cesare Bazzani 2001
    Cesare Bazzani e la Biblioteca nazionale centrale di Firenze (1873-1939): atti delle giornate di studio, Firenze, Tribuna Dantesca della Biblioteca nazionale centrale, 20-21 novembre 1997: nuovi studi e documenti, a cura di Ferruccio Canali e Virgilio Galati, Firenze, BT, 2001.
  • Edificio 1986
    L’Edificio della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Firenze, Forte di Belvedere, ottobre –novembre 1986, Firenze, Karta, 1986.
  • Giubileo 1911
    Giubileo di Cultura, Firenze, Nerbini, 1911.
  • Lorenzo dopo Lorenzo, 1992
    Lorenzo dopo Lorenzo: la fortuna storica di Lorenzo il Magnifico, Firenze, Biblioteca nazionale, 4 maggio-30 giugno 1992, a cura di Paola Pirolo, [Cinisello Balsamo], Silvana, [1992] .

Gli arredi

Venticinque anni, un lunghissimo tempo in cui “lentamente la fabbrica procede e con mezzi inadeguati”, hanno segnato un forte distacco di espressione linguistica tra le dichiarazioni programmatiche contenute nella relazione di accompagnamento al progetto di concorso della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (1904-1906) e il suo arredo interno, ultimato in gran parte fra il 1934 e il 1940 (EDIFICIO 1986). Quel cercar “d’esser d’ambiente” espresso da Cesare Bazzani e testimoniato soprattutto dalla volontà di legare in maniera evoluzionistica l’immagine esterna dell’edificio alle forme della grande cultura architettonica della Firenze rinascimentale, ben si accompagnava alla creazione decorativa di quell’ “immaginoso dettaglio” applicato all’intero epitelio delle membrature architettoniche interne e tale da poter assicurare “una continuità visuale” fra le varie parti dell’edificio (CESARE BAZZANI 2001). Dai rari disegni di mano di Bazzani risalenti al 1906 emerge un arredo che denota un dichiarato richiamo alla “tradizione”, modulato attraverso una spigliata libertà stilistica che variava, inventava, corrompeva il corpo della tradizione stessa, correndo spesso sull’orlo dell’eccessivo, ma soprattutto tradendo i suoi più diretti riferimenti e quindi il compassato rigore del pur amato maestro Guglielmo Calderini. Riproporre dopo un lustro dalla posa della prima pietra un nuovo arredo, richiedeva un cambiamento di rotta che rendeva sempre più difficile a Bazzani rimestare fra le forme concepite prima della Grande Guerra, in un tempo in cui l’architettura italiana aveva preso ormai orientamenti diversi: nel 1931 i suoi progetti figuravano in quell’esecrabile “Tavolo degli orrori” che Piero Maria Bardi aveva presentato a Benito Mussolini, sollecitandolo a dare all’architettura un cammino direzionato verso espressioni contemporanee. La costrizione a doverose e ormai ineludibili evoluzioni razionaliste non era più procrastinabile, anche se i successivi progetti riveleranno una cattiva assimilazione delle nuove tendenze, dove a nove parti di architettura romana Bazzani aggiungeva svogliatamente una parte di orecchiato razionalismo europeo. Lo studio dell’arredo della Biblioteca Nazionale fu affidato, dallo stesso Bazzani a Italo Mancini, fedele e giovane collaboratore esterno, assolutamente attento alle proposte innovative di arredo che la rivista Architettura e Arti Decorative diffondeva attraverso le sue pagine: nel 1929 una panoramica dell’organizzazione funzionale e le relative attrezzature delle più importanti biblioteche pubbliche del mondo occidentale, Unione Sovietica compresa (ARCHITETTURA E ARTI DECORATIVE 1929); nel 1930 un dettagliato servizio su “Particolari ed attrezzature bibliotecarie moderne” (ARCHITETTURA E ARTI DECORATIVE 1930) dove venivano presentate le soluzioni più innovative, sperimentate contemporaneamente dallo stesso Mancini nei concorsi per i nuovi uffici del Governatorato di Roma (1928) e per il Palazzo dell’Automobile (1929). Oltre alla sorveglianza di Cesare Bazzani, a sostenere il giovane architetto nelle proposte e nelle scelte, era presente l’attenta e competente guida di Domenico Fava, allora direttore della Biblioteca Nazionale. Fu la ditta milanese Lips-Vago, con le sue leghe leggere, a risolvere i problemi organizzativo-funzionali dell’arredo, ad iniziare dal progetto di cento cassette metalliche, appositamente costruite con chiusura rotolante e scorrevole su rotelle per il trasporto dei libri da Piazza de’ Giudici alla nuova sede, all’istallazione nei magazzini librari di scaffalature metalliche per un’iniziale palchettatura di 40 km, vero elemento strutturale articolato su cinque piani, fino ai quattro mobili a cassetti per il catalogo a soggetto acquistati nel 1940. Questi ultimi mobili furono collocati nella sala dei cataloghi, che più di ogni altro ambiente rivela la sua tarda progettazione e la sua adesione all’estetica razionalista: la luce che scende dal velario centrale enfatizza la dinamica scala elicoidale di raccordo tra i due ballatoi in una scenografia prospettica, accentuata dalla fuga di quattro pilastri per parte rivestiti di lucido acciaio inossidabile; al centro, tavoli a doppio spiovente sostenuti da tubolari metallici e con piani di cristallo infrangibile sui quali poggiavano i volumi dei cataloghi per i fondi antichi e altri quattro tavoli con piano orizzontale per facilitare la consultazione del catalogo a schede. Dirette le analogie linguistiche di questa sala con le soluzioni di arredo che Italo Mancini aveva già proposto nel 1932 nei progetti di concorso per gli interni della Casa dell’Aviatore. Nelle sale di consultazione al primo piano l’arredo aveva invece una valenza rappresentativa e conforme all’importanza, alla severità e all’utilità del luogo. Gli ambienti in sequenza, al livello delle funzioni lettura, sono compartimentati da monumentali porte in noce, contrapposte alla felice trasparenza delle chiusure dei vani del piano terra e dei corridoi di transito. La continuità fra le sale di consultazione è garantita dalle comunicazioni al livello dei ballatoi. La memoria delle antiche librerie di concezione settecentesca è assicurata dal doppio ordine delle scansie librarie a cui si aggiunge un nuovo sistema di salita: le anguste scale a chiocciola poste agli angoli dei vani, sono state successivamente sostituite da comode scale in legno ad andamento lineare, comunque schermate da scansie che garantiscono la continuità visiva delle pareti librarie. Per la consultazione si trovano grandi tavoli in legno di noce progettati con razionale semplicità, e dove ogni postazione di lettura era segnata da una sorgente luminosa, costituita da uno stelo bronzeo portante una calotta di vetro opalino, prodotto dalla ditta milanese Fontana Arte. Le avvolgenti sedute, ancora presenti, riflettono in chiave moderna il disegno dell’antico klismos greco, la seggiola priva di braccioli, ma con profondo schienale curvilineo a suggellare qui l’isolamento del lettore. La straordinaria cura del dettaglio attuato da Italo Mancini ci lascia raffinati oggetti di arredo, come il semplice e funzionale appendiabiti e portaombrelli, e ancor più raffinate finiture come le maniglie delle porte e degli sportelli alla base delle scansie concepite con un disegno che guarda soprattutto alla razionale funzionalità dell’uso (MINISTERO DELL’EDUCAZIONE NAZIONALE 1942). Nell’ottobre del 1935, in occasione dell’inaugurazione dell’edificio, fu allestita nella tribuna Dantesca la mostra dei libri membranacei del sec. XV, mentre nelle sale adiacenti e in quella Galileiana fu preparata la grande mostra dei libri figurati quattrocentini posseduti dalla biblioteca. Per l’occasione, e ancora fanno bella mostra di sé, furono ideate tre diverse tipologie di teche, identitarie degli spazi in cui dovevano essere collocate: fra gli intervalli delle colonne delle due tribune furono posizionati espositori lineari a credenza su due piani, realizzati in impiallacciatura di noce e cristalli, mentre al centro troneggiava un mobile circolare sempre in legno di noce e cristallo coronato da una lanterna in alabastro, a riproporre il modello di perfezione del tempio rinascimentale del sapere. A seguire elegantissime teche siglate sempre dalla Lips-Vago su alti piedi di anticorodal e chiuse da cristalli curvati. Anche il disegno dei vari corpi illuminanti risentiva dei tempi nuovi, di quella rinascita delle arti, manifestatasi alla fine degli anni venti con la produzione dei vetri di Murano, prodotti dalle fornaci Venini per impulso delle scultore Napoleone Martinuzzi. Nei corridoi di transito, nei vani degli scaloni monumentali, negli ambienti di distribuzione e di lettura vennero collocati corpi luminosi costituiti da elementi di pasta vetrosa a regolare ondulazione, di varie dimensioni che assemblati ricompongono tipologie formali diverse. Negli uffici direzionali la ditta Venini proponeva raffinatissime appliques ancora presenti, composte da coppe di cristallo di tonalità ambrata, o semplicemente opaline, poste su bracci di metallo o di legno rivestito da ondulati elementi in vetro.

Bibliografia:
  • Architettura e arti decorative 1929
    Architettura e arti decorative,VIII, fasc. II, 1929.
  • Architettura e arti decorative 1930
    Architettura e arti decorative, IX , fasc.VIII,1930.
  • Cesare Bazzani 2001
    Cesare Bazzani e la Biblioteca nazionale centrale di Firenze (1873-1939): atti delle giornate di studio, Firenze, Tribuna Dantesca della Biblioteca nazionale centrale, 20-21 novembre 1997: nuovi studi e documenti, a cura di Ferruccio Canali e Virgilio Galati, Firenze, BT, 2001.
  • Edificio 1986
    L’Edificio della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Firenze, Forte di Belvedere, ottobre –novembre 1986, Firenze, Karta, 1986.
  • Ministero dell’Educazione Nazionale 1942
    Ministero dell’Educazione Nazionale, Le Biblioteche d’Italia dal 1932 al 1940, Roma, F.lli Palombi, 1942.

Il trasloco e l’inaugurazione: Domenico Fava e la sua relazione

Nel settembre 1938, Domenico Fava (DBI v. 45), direttore della BNCF al momento del trasloco dalla sede degli Uffizi, ritornerà, nella sua importante opera storica complessiva sulla Nazionale fiorentina (FAVA 1939), sull’argomento trasferimento, rievocando il lavoro preparatorio che permise di eseguire una verifica generale di tutte le raccolte manoscritte e a stampa.
Una ricognizione dei fondi indispensabile per le condizioni in cui si erano trovate le raccolte durante l’ultimo cinquantennio nei vecchi locali degli Uffizi, con l’aumento rapidissimo delle medesime e la crescente penuria di spazio. Questo studio analitico costituisce la parte più significativa della Relazione che Fava indirizzò al Ministro dell’Educazione Nazionale nel gennaio 1936 (FAVA 1936). Il nuovo edificio della biblioteca procedette fra ostacoli di ogni genere, compresa naturalmente la Prima Guerra Mondiale, e ci vollero più di venti anni dalla posa della prima pietra (1911) perché fossero compiuti i lavori (FAVA 1935/2). Solo nell’estate del 1935 Fava, direttore dal luglio 1933, fu in grado di iniziare le operazioni di trasferimento dei libri, che, per la modernità dei mezzi posti in opera e per l’ attenta organizzazione, costituì un esempio di rapidità e di precisione nel trasferimento di una grande biblioteca. In 54 giorni si traslocò dalla vecchia alla nuova sede e alla fine di giugno 1935 era già agibile una massa libraria costituita da oltre 800 mila volumi e da due milioni e mezzo di opuscoli. Ma ciò che in questa impresa colpì di più tecnici e pubblico fu il simultaneo assetto delle raccolte nei magazzini librari, tanto che alla fine del trasporto la biblioteca si poteva dire completamente in ordine e già pronta per funzionare. Un carrello appositamente ideato in alluminio dallo stesso Fava per il trasloco, colla sua leggerezza servì a risolvere i problemi riguardanti la celerità, l’ordine e la sicurezza del trasporto.
Fu fatto anche un accurato studio delle modalità di sistemazione nella nuova sede. Si trattava infatti, prima che il trasferimento si iniziasse, di dare unità e assetto materiale a tutti i nuclei librari ancora disordinati e confusi, e di risolvere poi le questioni riguardanti il coordinamento delle varie sezioni, che nella vecchia sede si trovavano sparse e disorganizzate, mentre era necessario che nella nuova venissero accentrate, com’era richiesto da ragioni storiche e bibliografiche. Questo studio preliminare servì a dare al riordinamento della suppellettile libraria il suo carattere razionale e alla biblioteca la sua organica unità. Questo per ciò che concerneva le raccolte bibliografiche.
Laborioso fu il problema dei servizi. Si dovette provvedere a tutte le esigenze che, per la condizione dei locali, nella vecchia sede non avevano trovato adeguata soddisfazione. A tal proposito va ricordata la creazione delle ampie sale riservate di consultazione, dove furono rappresentate tutte le scienze con oltre 20 mila volumi a disposizione dei lettori e dove i posti vennero aumentati da 16 a 68. Quanto ai nuovi impianti vanno ricordate la sala delle riviste e le tribune dantesca e galileiana destinate alle mostre bibliografiche. La prima si presentava con una tale modernità di assetto, che trovava pochi confronti nelle maggiori biblioteche del mondo; le seconde, dedicate esclusivamente ai libri italiani figurati del Quattrocento e alle legature artistiche, traevano importanza e bellezza dall’insuperabile quantità di monumenti esposti, fra i più pregevoli del loro genere (FAVA 1936). Nell’ottobre nella nuova sede tutto era riordinato, sistemato e pronto per la ripresa del funzionamento della biblioteca. Si inaugurava un’ampia sala di lettura comune con 136 posti, con annesse due altre sale più piccole, una per l’utenza femminile e l’altra per i laureandi con altri 38 posti; una consultazione per il pubblico nei due passaggi alla sala di lettura e al catalogo per le ricerche rapide e libere; una sala del catalogo di grande vastità con uno schedario di tipo nuovo, introdotto dallo stesso Fava per la prima volta nella tecnica bibliotecaria; un reparto dei trattati, che dava al pubblico la possibilità di trovare sempre nella biblioteca gli strumenti per qualunque ricerca; luminose, comode sale per la lettura dei manoscritti al piano superiore; mostre di grande interesse per lo studio della storia del libro, allestite in locali creati appositamente; tutto stava a dimostrare l’alta comprensione dei bisogni del pubblico e il fermo intento di dare al funzionamento generale della biblioteca agilità, armonia e notevole efficienza (FAVA 1937/1). Conclusa completamente l’opera di assetto della nuova sede, la Nazionale si riapriva il 30 ottobre del 1935 con una imponente cerimonia inaugurale, resa più solenne dalla presenza di S. M. il Re.
Per l’occasione fu allestita una mostra degli esemplari membranacei a stampa del Quattrocento esistenti nelle biblioteche italiane, accompagnata dal catalogo (FAVA 1935).

Bibliografia:
  • Fava 1935
    Domenico Fava, I libri membranacei a stampa del secolo XV esistenti nelle biblioteche pubbliche italiane, Firenze, Alinari, 1935.
  • Fava 1935¹
    Domenico Fava, Due biblioteche auliche nella Nazionale centrale di Firenze, «Accademie e biblioteche d’Italia», 9, 1935, pp. 448-474.
  • Fava 1935²
    Domenico Fava, La Biblioteca nazionale centrale di Firenze dalla vecchia alla nuova sede, «Accademie e biblioteche d’Italia», 1935, n. 3-4, p. 419-447.
  • Fava 1935³
    Domenico Fava, La Biblioteca nazionale centrale di Firenze dalla vecchia alla nuova sede, in Per l’inaugurazione della nuova Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Roma, Biblioteca d’arte editrice, 1935, pp. 1-29.
  • Fava 1936
    Domenico Fava, I libri italiani a stampa del secolo XV con figure della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, con un’appendice di legature, Milano, U. Hoepli, 1936.
  • Fava 1937¹
    Domenico Fava, Il trasporto e la sistemazione della Biblioteca nazionale di Firenze nella nuova sede: luglio-ottobre 1935. Relazione a S. E. il Ministro della educazione nazionale del dott. Domenico Fava. Firenze, Tip. Il Cenacolo, 1936; 2. edizione, Firenze, 1937.
  • Fava 1937²
    Domenico Fava, La nuova sede della Biblioteca nazionale centrale di Firenze e la sua sistemazione, «Zentralblatt für Bibliothekswesen», Jahrg. 54, 1937, pp. 178-190.
  • Fava 1937³
    Domenico Fava, Libri membranacei del Quattrocento, esistenti in Italia, «Gutenberg-Jahrbuch», 1937, pp. 55-78.
  • Fava 1939
    Domenico Fava, La Biblioteca nazionale centrale di Firenze e le sue insigni
    Raccolte, Milano, Hoepli, 1939.

La Basilica e la Biblioteca

Prima delle trasformazioni urbanistiche otto-novecentesche il cuore del quartiere di Santa Croce era la Chiesa francescana, dei frati Minori Conventuali, intorno alla quale si sviluppavano molteplici attività legate alla lavorazione dei tessuti.
Con il trasferimento della Capitale a Firenze, stabilito con legge n. 2032 dell’11 dicembre 1864, il Convento di Santa Croce era scelto per ospitare una sezione del Ministero delle finanze, la Direzione generale del debito pubblico, in base alla legge n. 384 del 22 dicembre 1861 che permetteva al Governo di occupare i conventi per cause di pubblico servizio. Dotati di un nuovo ingresso e ricavati dalle celle dei frati unite a due a due, gli uffici della Direzione trovavano posto nell’ala est e in una parte di quella orientata a sud del ‘chiostro grande’, meglio conosciuto con il nome improprio di Chiostro del Brunelleschi, completato nel 1453. Per i frati Minori Conventuali, dimoranti in Santa Croce dal 1228, era realizzato un convento in dimensioni più ridotte dietro la Chiesa, con un nuovo refettorio, una cucina e alcune celle.
L’ala del Chiostro verso Corso Tintori, invece, non rientrava da tempo nelle proprietà del complesso conventuale in quanto ceduta per una parte nel 1572, “…Case et infermeria vecchia…”, al Granduca Cosimo de’ Medici che l’aveva trasformata in una caserma per i Cavalleggeri, un corpo di fanteria a cavallo (da cui Piazza dei Cavalleggeri), e per un’altra parte nel 1797, allo Scrittoio delle reali fabbriche per un corpo di cavalleria denominato i Dragoni. Gli ambienti intorno al Chiostro di fatto rappresentavano il corpo più rilevante del complesso conventuale da quando con l’edificazione della nuova chiesa i francescani erano aumentati e la fabbricazione si era estesa verso l’Arno.
La soppressione degli ordini, corporazioni e congregazioni religiose sancita dal regio decreto legislativo n. 3036 del 7 luglio 1866 (in esecuzione della legge del 28 giugno 1866 n. 2987), seguito dalla legge 3848 del 15 agosto 1867 riguardante la liquidazione dell’Asse ecclesiastico, continuava a garantire la destinazione degli ambienti dell’antico Convento ad attività estranee alla vita religiosa. Di fatto gli edifici sacri tenuti aperti al culto, come la Chiesa di Santa Croce, in quanto riconosciuti utili alle esigenze spirituali della popolazione, passavano al Fondo per il culto dipendente dal Ministero della Giustizia e dei Culti (dal 1932 dal Ministero dell’Interno), ma i conventi erano consegnati all’amministrazione del Demanio che si occupava della loro alienazione, in base ad una legge del 1862, o devoluzione, pagando una rendita al Fondo per il culto. Gli oggetti storico-artistici posseduti dai conventi erano devoluti ai musei e alle pubbliche biblioteche della provincia in base a quanto disposto dal decreto 3036. La documentazione riguardante i beni incamerati veniva in seguito trasferita tra il 1877 e il 1878 presso l’Archivio di Stato di Firenze, fondo Direzione compartimentale del Demanio e tasse di Firenze, Corporazioni religiose soppresse dal Governo Italiano.
Un provvedimento affine si era avuto in seguito alle soppressioni napoleoniche del 1808, decreto del 29 aprile, e 1810, decreto del 13 settembre: queste disposizioni avevano di fatto tolto la Chiesa e il Convento ai francescani, poi riabilitati in seguito alla restaurazione lorenese del 1814. Tutti i beni di proprietà del Convento erano stati incamerati, come l’archivio, confluito nell’Archivio delle corporazioni religiose soppresse, oggi in Archivio di Stato, come la ricca e rinomata biblioteca che era stata ricostituita dai frati Minori Conventuali dopo che nel 1766 Pietro Leopoldo di Lorena ne aveva disposto, non a caso, il quasi totale trasferimento presso la Biblioteca Medicea Laurenziana.
In particolare, in seguito ai decreti del 1808 e del 1810, erano stati consegnati ancora alla Laurenziana quasi venti codici di Santa Croce mentre la restante parte della raccolta, 122 codici e 39 libri a stampa, era stata ceduta il 17 marzo 1812 alla Biblioteca Magliabechiana. Per quanto riguarda la Biblioteca Medicea Laurenziana la raccolta è ancora oggi suddivisa nei fondi Codici latini e italiani (ex S. Croce confluiti nel 1767) e fondo Conventi soppressi, mentre nel caso della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, già Biblioteca Magliabechiana, i codici sono confluiti nel fondo Conventi soppressi.
In base all’articolo 20 del decreto n. 3036 i comuni potevano avere in concessione gli immobili appartenuti agli ordini religiosi previa richiesta di utilizzo per pubblica utilità. Nel 1868, in forza di questa disposizione, il Comune di Firenze otteneva il Convento di Santa Croce con atto pubblico del 29 aprile, e nel 1871 ne diventava proprietario per legge “…con tutti i fabbricati e gli annessi”. I conventi ceduti ai comuni erano quasi sempre parcellizzati e quindi consegnati ad enti diversi. Nel complesso conventuale di Santa Croce gli ambienti del lato che separa il primo chiostro dal cosiddetto ‘chiostro grande’ ospitano dal 1878 la Scuola professionale per le arti decorative e industriali, ovvero il futuro Istituto d’arte di Firenze (in quel momento ancora Scuola di intaglio). La Scuola occupava alcuni locali sia del piano terreno sia del piano primo, questi ultimi un tempo sede della storica biblioteca dei frati Minori Conventuali. Gli ambienti già utilizzati dall’Ufficio del Ministero delle Finanze, trasferito a Roma, sono invece affidati alla Direzione territoriale del Genio che li utilizzerà per ospitare un battaglione di fanteria e alcuni uffici dell’Amministrazione militare.
Il 2 maggio del 1900 una commissione aveva modo di appurare le precarie condizioni della sede della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze che ormai occupava ben tre edifici contigui a tergo degli Uffizi, tra Piazza del Grano e Via dei Castellani: le sale puntellate per ordine del Genio Civile, la carenza di locali, i pericoli addirittura che minacciavano l’edificio a causa del peso dei libri. La soluzione, ormai improrogabile, fu trovata grazie ad una convenzione stipulata tra lo Stato, il Comune e la Cassa di Risparmio del 4 febbraio 1902, approvata con legge del 21 luglio 1902 n. 337, che stabiliva la costruzione di una nuova biblioteca in Corso dei Tintori. L’accordo contemplava anche la cessione da parte del Comune di una porzione dell’ex Convento francescano di Santa Croce: in particolare quella che corrispondeva al ‘chiostro grande’ dove si trovavano gli uffici in uso alla Direzione territoriale del Genio, eccetto l’ala nord occupata dalla Scuola per le arti decorative e industriali. In questo modo si trovava anche un espediente per dare subito una collocazione ad una parte delle raccolte bibliografiche della Nazionale Centrale trasferendole presso gli ambienti acquisiti dell’ex Convento. Senza contare che, considerando la contiguità del Chiostro alla futura Biblioteca, sarebbe stato più semplice anche il dislocamento delle raccolte una volta ultimato l’edificio.
Di fatto gli ambienti dell’ex convento francescano diventavano, come si evince dai documenti, ‘magazzini di sfollamento’ del primo materiale bibliografico trasferito dalla vecchia sede della Biblioteca Nazionale Centrale. Nel 1911, appena iniziata la costruzione dell’attuale sede, si ultimava il collocamento di tutti i giornali politici usciti dal 1870 negli ambienti al piano terra del Chiostro. Il Ministero della pubblica istruzione, inoltre, era riuscito ad ottenere nel 1909 anche gli ambienti che occupava la Scuola per le arti decorative, in previsione del suo trasferimento a Porta Romana, compiuto nel 1923. Solo qualche anno più tardi, a partire dal 1926, s’iniziava a trasferire in Santa Croce parte del patrimonio librario di Palazzo dei Giudici, che ospitava buona parte delle raccolte della Biblioteca ma i cui locali erano ormai sovraccarichi. Nel 1930, dopo l’inaugurazione della Tribuna Dantesca, prima sezione della Biblioteca ad essere completata ma certo più monumentale che funzionale, si allestiva anche una sala provvisoria per la lettura dei giornali politici e delle riviste.
Gli anni Trenta del Novecento vedevano una nuova nascita, anzi due: nel 1933 i frati Minori Conventuali erano riabilitati, visto che la loro ‘Provincia’ veniva riconosciuta ente morale di culto con sede principale in Santa Croce e la Chiesa elevata al grado di Basilica Minore, nel 1935 infine veniva inaugurata la nuova sede della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
Del ‘chiostro grande’, oggi di pertinenza del Ministero per i beni e le attività culturali e sede di alcuni importanti magazzini librari dell’Istituto, erano ripristinate le antiche linee architettoniche quattrocentesche celate dalle modifiche apportate nel XIX secolo per adeguare gli spazi alle nuove funzioni istituzionali. Ambienti di cui in quel secolo era stato fatto un uso molto diverso rispetto a quello per cui erano stati concepiti, tanto che erano state necessarie radicali modifiche che ormai avevano privato la struttura della sua identità.
Alcune riproduzioni fotografiche Alinari fanno vedere come era l’architettura del Chiostro, largo trentuno metri per trentotto, negli anni Venti del Novecento: il portico inferiore si presentava circa come è oggi, ovvero con archi a tutto sesto e volte a crociera poggianti su colonne di pietra che ricordano la struttura dell’Ospedale degli Innocenti in piazza della SS. Annunaziata; la parte superiore invece appariva con un impianto a loggiato ma murato e provvisto di grandi finestre dotate di persiane abbastanza disarmoniche per il contesto. Il successivo ripristino del porticato superiore metteva invece in risalto le colonnine in pietra, non più murate, la copertura a tettoia in legno e il rivestimento in cotto. I medaglioni che si possono scorgere tra gli archi contengono gli stemmi della famiglia di Tommaso Spinelli, il ricco banchiere che per venerazione a San Francesco finanziò i lavori di costruzione del Chiostro e il cui stemma si trova sopra il portale che introduce all’androne di accesso.
La risistemazione del Chiostro ha permesso anche di salvaguardare, sul muro del loggiato superiore, parete nord verso la Chiesa, una riproduzione dello stemma dell’Arte di Calimala, un’aquila che ghermisce una balla di tela, ovvero l’Arte si occupava della lavorazione dei tessuti grezzi. Nel 1427 l’Arte, proprietaria di una parte del Convento, si era assunta le spese di incremento e di manutenzione della ricca biblioteca dei frati Minori Conventuali che aveva trovato adeguata sede proprio al primo piano dell’ala del convento che separa i due chiostri, verso la Chiesa, grazie all’eredità lasciata all’Arte di un laico, di nome Michele di Guardino, macellaio. Di questa figura genuina è possibile ancora vedere l’arma, rappresentata da un bove rampante, sul muro del piano superiore del porticato, accanto allo stemma dell’Arte.
Modesti frammenti di affreschi appena visibili sul muro del loggiato superiore del Chiostro che le infauste trasformazioni ottocentesche non sono riuscite a ‘sopprimere’ e che rievocano una condizione sociale ancora legata alla lavorazione dei tessuti e più dimessa di quella di Firenze Capitale, lontana anche dal quel contesto politico che negli anni in cui Vasco Pratolini ambientava il romanzo Il quartiere, ha voluto forzatamente cambiarne, ancora una volta, l’identità.

Riferimenti bibliografici e archivistici:
  • Biagianti Ivo
    Biagianti Ivo, La soppressione dei conventi nell’età napoleonica, in La Toscana nell’età rivoluzionaria e napoleonica, a cura di Ivan Tognarini, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1985.
  • Branca – Caputo
    Branca Mirella – Caputo Annarita, Decoratori per una città d’industrie artistiche all’ombra di Santa Croce (1880-1919), in Storia dell’Istituto d’arte di Firenze (1869-1989), a cura di Vittorio Cappelli e Simonetta Soldani, Firenze, L. S. Olschki, 1994.
  • Cappelli Vittorio
    Cappelli Vittorio, Da Santa Croce a Porta Romana. Le molte ambizioni di un istituto modello, 1919-1939 in Storia dell’Istituto d’arte di Firenze, 1869-1989, a cura di Vittorio Cappelli, Simonetta Soldani, Firenze, L. S. Olschki, 1994.
  • Convenzione fra il Comune di Firenze e la Cassa centrale di Risparmi e Depositi di Firenze e l’Amministrazione dello Stato per la costruzione di un edificio ad uso della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, 4 febbraio 1902, cc. 1-2, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Archivio Storico della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, n. 634, fasc. 14.
  • Ex Convento di Santa Croce in Firenze. Demanio nazionale e Comune di Firenze, 31 maggio 1907, Biblioteca del Convento di Santa Croce Firenze, Archivio storico della Provincia Toscana delle Ss. Stimmate dei Frati Minori Conventuali, n. 2, fasc. 1, s/6.
  • Fantozzi Micali – Rosselli
    Fantozzi Micali Osanna – Piero Roselli, Le soppressioni dei conventi a Firenze. Riuso e trasformazioni dal sec. XVIII in poi, Firenze, L.E.F., 1980.
  • Lenzuni Anna
    Lenzuni Anna, Le vicende di una preziosa biblioteca, in Santa Croce nel solco della storia, a cura di Massimiliano G. Rosito, Firenze, Città di vita, 2007.
  • Maggiora Novella
    Maggiora Novella, L’archivio storico della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Guida archivistica, Lucca, Istituto storico lucchese, 2012.
  • Maggiora Novella
    Maggiora Novella, Santa Croce e la sua Biblioteca, in La Biblioteca di Santa Croce tra passato e presente. Riapertura al pubblico, 19 maggio 2012, a cura di Novella Maggiora, Secondino Gatta, Simone Allegria, Firenze, Comunità francescana di Santa Croce, 2012.
  • Mazzi Curzio
    Mazzi Curzio, L’inventario quattrocentistico della Biblioteca di Santa Croce in Firenze, in «Rivista delle biblioteche e degli archivi», 8 (1897).
  • Partolini Vasco
    Partolini Vasco, Il quartiere, Firenze, Vallecchi, 1954.
  • Rossi Ferdinando
    Rossi Ferdinando, Arte italiana in Santa Croce, Firenze, Barbèra, 1962.
  • Sebregondi Ludovica
    Sebregondi Ludovica, Il calvario delle soppressioni, in Santa Croce nel solco della storia, a cura di Massimiliano G. Rosito, Firenze, Città di vita, 2007.
Ultimo aggiornamento 4 Febbraio 2021